Ogni volta che penso al gioco di Bryant questo è il mio pensiero ricorrente: che Bryant, pur essendo già fortissimo, è un fiore che non è ancora sbocciato. Mi spiego meglio: è come se al suo gioco mancasse il lievito, che è il gioco di squadra.
E ho come l'impressione che da una parte il gradino da salire in questa direzione sia altissimo e necessitante di una dedizione estrema, dall'altra parte che se riuscisse finalmente a salire questo gradino non ce ne sarebbe davvero più per nessuno.
In realtà credo da sempre che il problema sia non solo di tipo cestistico: Bryant è così anche nella vita, non riesce a nutrire fiducia completa nelle persone che la meritano. Il gioco di squadra esiste anche nella vita, ed è lì che Kobe deve esercitarsi per riuscire bene anche sul campo...così il problema è, ancor prima di essere cestistico, sociale! Kobe è il classico tipo solitario, e più si chiude su se stesso e più pensa di dover essere lui a salvare il mondo...è sostanzialmente solo, e si estrania ancora di più per perseguire i suoi obiettivi, per paura che la compagnia infici le sue ambizioni.
Poi c'è da dire che lui con questo gioco vuole dimostrare sostanzialmente che non è da meno di altri giocatori del passato, in primis Jordan. MA NON CAPISCE CHE PER DIMOSTRARE QUESTO, NON C'é BISOGNO CHE DIA CONTINUAMENTE SFOGGIO DELLE SUE ABILITA'. DEVE seguire gli schemi, fidarsi dell'allenatore, dei compagni, capire che non sono ostacoli alla sua grandezza, ma casomai coadiuvanti. Questo è l'unico modo per farlo giocare di squadra e far lievitare il proprio gioco, perchè per Kobe Bryant discorsi del tipo metti da parte il tuo ego in favore della squadra non funzionano e non gli si addicono, ormai lo sappiamo (in questo senso ha perfettamente ragione Ciomba a dire che è un purosangue).
Ma, e c'è questo grande MA, per riuscire in questo il signor Kobe Bryant dovrà, in questa nuova stagione, fidarsi di Phil Jackson, fidarsi dei compagni e della squadra tutta, pensare che si costruisce insieme la stagione e che lui è la ciliegina sulla torta.
E' solo questione di impegno. E in questo, si sa, Bryant non ha rivali.
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Certamente il problema di Bryant non è solo cestistico. Premesso che mi attengo ai Media e alle interviste posso dire che ci siano stati in 10 anni da Laker 3 differenti versioni di Kobe Bryant.
L'egoista talentuoso, lo "Showboat" come lo chiamava Shaq, visto nei primi anni Losangelini fino ai Playoffs 2001. Durante tutta la stagione ci furono i mille conflitti tra il 34 e l'8, tutti credevano che i Lacustri non si sarebbe ripetuti dopo l'annata magica del 2000, poi invece ai Playoffs si risolve tutto. Cappotti su cappotti, pace fatta tra la Combo e Shaq che in occasione della serie contro San Antonio, dopo gara 1 nomina Kobe come il suo idolo, il miglior giocatore del mondo.
L'annata seguente viene passata tranquillamente, Shaq e Kobe ormai sono fratelloni e Kobe in un occasione rivela che la sua vita è cambiata del tutto. Ora non pensa solamente al basket, ma tenta di rilassarsi con la famiglia e gli amici, e questa sua armonia personale la trasporta sul campo da gioco, dove non è più l'egoista di prima, ma è più uomo squadra.
Poi c'è il Kobe post-Colorado.
Un Kobe distrutto psicologicamente, stressato, con la costante paura dell'incubo della prigione.
Shaq invece di cercare di tenere in sesto lo spogliatoio e per non cercare di mettere ulteriore pressione a Kobe, lo insulta. E scoppia l'ennesima lite.
"Shaq è ciccio e pigro, Kobe è egoista" questa è la frase che ogni giorno corre in California, tra un'udienza e l'altra.
Ai PO non bastano alcune prove "leggendarie" dell'8, il gruppo "Lakers", che di fatto aveva già subito un evidente declinio, viene a mancare in finale, dove Detroit polverizza gli Hall of Famers più che facilmente.
E poi c'è il Kobe visto nell'ultima stagione.
Uno contro il mondo, Leader a parole ma non di fatto, risultato fuori dai Playoffs tra un infortunio e l'altro e il fatto che fino ad ora ad averla vinta è ancora Shaq.
Quella che si appresta, è una nuova era per Kobe. Inutile dire che sarà diverso sotto il miglior coach di sempre.