Ok, ammettiamo pure che il talento sia comparabile. Alla fine Tony è semplicemente meno ambizioso del fratello. S'accontenta, in un certo senso, di divertire un pubblico poco esigente (l'essenza dell'entertainer). Si potrebbe quasi dire che è un benefattore, perché mette il suo talento al servizio di alcuni gruppi di persone che non hanno la pazienza, o la buona disposizione, per fruire del talento del fratello. In sostanza, lui fa un lavoro di complemento.
Poi, per scrupolo, scorri la sua cinematografia. Certo ci sono pellicole di dubbio gusto ma innocue, qualche colpo di coda (True Romance), tamarrate prive di qualsiasi pudore, e finanche dei tentativi di denuncia sociale (The Fan): tutti peccati su cui puoi soprassedere. Di colpo, però, ti cade l'occhio su Revenge. Cerchi di ricordare. No, non può essere quel Revenge . Non può essere quel Revenge che già quando avevi 8 anni ti fece dubitare delle capacità recitative di Kevin Costner. Quel Revenge che distrusse un mito, costruito sulle lacrime di Balla coi Lupi e le pallottole degli Intoccabili. Quel Revenge, che per la prima volta nella tua pur brevissima carriera d'ingordo cinefilo, pose l'annosa questione, che negli anni a venire ti avrebbe tormentato senza pietà: non avrò buttato nel cesso due ore della mia vita?
E ora col vostro permesso mi ritiro nei miei appartamenti. Ci sono i playoffs NBA. Mollatemi.