NckRm wrote:Gerry Donato wrote:
Dici bene.
Ma c'è il tema centrale della vicenda, la spada di Damocle di tutto il meccanismo, il vero accordo collettivo che sta vivendo ed ha vissuto la NBA di questo momento: il contratto in scadenza, sì, ma non del CBA. Dei giocatori!
LeBron è andato in scadenza; Bosh è andato in scadenza; Wade è andato in scadenza; Amar'è non ha rifirmato per Phoenix, ricattandola, ma solo con New York; Melo non ha rifirmato per Denver, ricattandola, ma solo con New York; Deron non ha ancora firmato ed è in scadenza, dopo aver ricattato Utah; CP3 è in scadenza; DH è in scadenza.
Questo è il vero accordo collettivo, quello dei giocatori!
La generazione USA intorno al draft 2003, tutti amici, non firma più al secondo giro di rinnovo. E ha deciso come organizzare la NBA scegliendo a tavolino le destinazioni più gradite o mettendosi nelle condizioni di farlo. Mandando così in tilt David Stern, il suo sistema democratico ed i "piccoli proprietari", che ora, a lockout concluso, decidono politicamente di non concedere CP3 ai Lakers (per altro con la mandrakata di mandarlo nella stessa città, quindi mettendo spalle al muro CP3 sul tema "grande mercato"
).
Però Gerry stai dimenticando una fetta abbastanza grossa del tuo discorso, la generazione precedente al 2003 dove si sta accasando?
Andiamo a vederli:
Duncan, Manu e Parker svernano a San Antonio;
Nash (eroico) è ancora dalle tue parti in Arizona;
Dirk si è visto pagare i dividendi con interessi a Dallas;
Garnett si è sparato 13 anni (tredici) dove sappiamo con Sprewell e soci prima di cambiare aria;
Ray Allen 12 anni tra Seattle e Milwaukee;
Carter, Odom ed Artest hanno girato mezza lega non tra big vere e proprie;
i campioni di Detroit sono diventati tali postumi all'arrivo in Michigan (Rasheed su tutti);
discorso simile a Detroit per il gruppo di Sacramento con Webber e soci;
Payton e Kemp non si sono mossi da Seattle, se non il primo a fine carriera;
Kobe e Pierce non si sono mossi da dove erano (e Pierce è stato ad un passo proprio da New Orleans in cambio proprio di CP3 rookie);
Yao si è ritirato sempre a Houston;
non parliamo poi dei protagonisti degli anni '80 (e ricordo sempre che MJ vinse il primo titolo a Chicago quando era due anni più vecchio del LeBron che lascia Clevland).
Shaq... è Shaq, non saprei come catalogarlo.
Ma sotto certi aspetti è lui l'antenato e l'esempio di questa generazione 2003, uomo infatti dal potere politico enorme nella NBA e tra i giocatori e protagonista assoluto della fine del lockout nel 1998.
Poi certo, su scala pluridecennale si creano movimenti dei big, ci mancherebbe altro. E ci sono una marea di esempi da sempre di giocatori a fine carriera senza titolo che cercano di vincere l'anello altrove (Malone è l'esempio simbolo degli ultimi tempi).
Ma questa generazione va in scadenza di contratto all'auge della sua carriera, come se MJ nel 1990 avesse deciso di unirsi ai Bad Boys di Detroit che battevano sempre i suoi Bulls. Io direi "altri tempi".
nolian wrote:
Diciamo la stessa cosa sotto molti aspetti.
Esistono eccome i grandi mercati, ma la loro selezione è una creazione mentale e soggettiva dei giocatori e del loro accordo collettivo.
LeBron è un grande mercato ed ha reso Cleveland un enorme mercato (ci sono dati sull'economia dell'Ohio pazzeschi nei 7 anni di James ai Cavs).
Le spiagge di South Beach sono un grande mercato per LeBron anche perché fa figo, certamente, ma il parametro fondamentale che rendeva figo andare a Miami per LeBron era la presenza dell'amico Wade.
Se Wade fosse stato in scadenza nel 2010 a Minnesota, stai certo che James e Bosh non lo raggiungevano. Ma se invece Dwyane fosse stato in scadenza alle stesse condizioni a New York, cosa ne sarebbe stato delle spiagge di South Beach?
Garnett ha accettato Boston solo dopo aver imposto ad Ainge un altro big (Ray Allen) fiutando una grande squadra, non certo per festeggiare San Patrizio con gli irlandesi; Amar'è ha accettato NY solo dopo la certezza matematica, economica e salariale che sarebbe arrivato un altro big (Melo).
Oggi per la generazione 2003 conta essere fighi in una franchigia figa, sicuramente, ma conta anche e soprattutto vincere, come un'ossessione.
E non fanno altro che parlarne tra loro.